Il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia, tanto è vero che l’Adunanza Plenaria (6 aprile 2018, n. 3), riprendendo la giurisprudenza della Sezione, ha ribadito che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza - su un’area più o meno estesa - del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.
Sempre in via preliminare, va altresì precisato che il ragionamento sotteso all’esercizio del potere interdittivo è di carattere essenzialmente prognostico, perché non deve tendere all’accertamento di un condizionamento in atto dell’impresa ad opera del familiare controindicato, ma alla configurazione di una situazione tale che il pericolo che il condizionamento si verifichi risulti “più probabile che non”, in quanto suffragato da una cornice indiziaria caratterizzata da un apprezzabile grado di attendibilità e verosimiglianza.
Parametro di misura della correttezza della valutazione prefettizia, tenuto conto della connotazione discrezionale (e non strettamente logico-deduttivo) del relativo potere, è quello della ragionevolezza (da affiancare a quelli, non meno importanti, della adeguatezza istruttoria, della analisi non travisante dei fatti e della esaustività motivazionale) della prognosi interdittiva, tenuto conto che all’interesse alla tutela dell’ordine pubblico economico e della libera e trasparente concorrenza a presidio del quale esso è attribuito all’Amministrazione, fa da contraltare quello alla non restrizione del novero delle imprese che aspirano ad entrare in rapporti con la P.A. ed al libero esercizio dell’iniziativa economica, anche nelle sue manifestazioni che implicano il diretto contatto - di tipo contrattuale o autorizzativo - con la sfera pubblica.
Deve solo aggiungersi, alla luce di tali ultime annotazioni, che lo schema giurisprudenziale della “regia familiare” non è una “camicia di forza” entro cui costringere i dati reali anche quando sfuggono razionalmente alle sue maglie, ma una possibile chiave di lettura di una complessa e variegata realtà fenomenica, la cui concreta adattabilità alla concreta fattispecie deve essere verificata tenendo conto delle specifiche caratteristiche che questa assume, senza forzature preconcette.
Ciò premesso, deve in primo luogo osservarsi che la struttura familiare dell’impresa interessata non è sufficiente ai fini della configurazione della “regia familiare” della stessa, nel significato che tale locuzione assume ai fini applicativi della legislazione antimafia, laddove non si dimostri che quella struttura replichi il modello organizzativo della cosca mafiosa ovvero costituisca la rete di trasmissione dell’influenza mafiosa che uno dei suoi componenti, più vicino agli interessi criminali, è in grado di esercitare sugli altri che ne fanno parte.
Come affermato da questa Sezione, “se infatti è vero, in base a regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue può esporre il soggetto all’influsso dell’organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l’attendibilità dell'interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari, che qualifichino, su un piano di attualità ed effettività, una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi; deve trattarsi di elementi significativi, che corroborino il pericolo di condizionamento ed in ordine ai quali va data adeguata motivazione nel provvedimento interdittivo” (Consiglio di Stato, Sez. III, 27 febbraio 2015, n. 983).
[…] Il condizionamento mafioso non può ritenersi un effetto suscettibile di riprodursi all’infinito e con la stessa intensità iniziale, sulla scorta della mera esistenza di rapporti (parentali o di altra natura) tra il soggetto direttamente esposto ad esso e gli altri coi quali si trovi o venga a contatto.